Nella vita e nel lavoro, vi sono problemi e problemi. Alcuni sono chiaramente definiti, con un obiettivo preciso, e si tratta solo di trovare il modo migliore per raggiungere quell’obiettivo. Un classico esempio è il calcolo di un percorso ottimale. Devo recarmi da Milano a Reggio Calabria e voglio identificare qual’è l’insieme di strade e svolte che mi farà risparmiare tempo.
Altri problemi non godono di una definizione così netta. Risultano nebulosi. Come ad esempio “come faccio per perdere peso?”, “come faccio per attrarre più visitatori sul mio sito?”, “come faccio a conquistare il cuore di quella splendida ragazza?”.
Problemi mal definiti
Più tecnicamente, si tratta di problemi mal definiti, nei quali più che richiedere il raggiungimento di un obiettivo, si cerca di soddisfare una certa esigenza.
La differenza tra il concetto di soddisfare un’esigenza e quella di raggiungere un obiettivo è che quest’ultimo è – più o meno – formulabile e sintetizzabile secondo alcuni parametri. L’esigenza, al contrario, si pone a monte dell’obiettivo, e spesso è soddisfacibile da tutta una serie specifica di obiettivi.
Il Design Thinking
Nell’affrontare questi problemi “ampi”, “mal posti”, “difficili”, può essere utile considerare le tecniche del Design Thinking. Letteralmente stiamo parlando di una serie di strumenti e tecniche volte a formalizzare e sistematizzare tutti quei processi che solitamente portano alla costruzione di una soluzione ad un problema complesso e mal formulato.
Quando si fa Design Thinking si cerca quindi di utilizzare insieme sia il pensiero di analisi che quello di sintesi. Nel primo caso si andrà a dettagliare la situazione, a scomporre il problema; nel secondo caso si cercherà di costruire una prospettiva unificante, una forma organica della soluzione che si sta cercando. Questa natura duale del processo si sposa benissimo con un modo di procedere che sia di tipo incrementale, a raffinamenti successivi.
Design Thinking secondo Standford
Più formalmente, è utile tutto il lavoro svolto dalla Standford University su questo fronte; utile perché cerca di fornire un modello pratico per applicare il Design Thinking ogni volta che serve. Il modello proposto da Standford si articola su una serie di passaggi:
1. Empatizzare. E’ forse il passaggio più importante e lo affronterò per questo in un post dedicato. Per il momento basti sapere che in questo passaggio si arriva a conoscere “l’utente” o il “manifestatore d’esigenza” al punto tale da immedesimarsi con lui. Si crea un ponte di empatia tra noi e l’interlocutore allo scopo di “sentire” i suoi pensieri e sapere interpretare le sue azioni. Il passaggio è fondamentale perché ci consente di creare i presupposti per saltare la barriera tra l’esigenza ed il problema.
2. Definire. Si cerca di creare dei confini al problema. Qui va posta particolare attenzione alla natura iterativa del Design Thinking: inizialmente i confini saranno volutamente ampi e definiti in modo solo sfumato. Via via che si procede con le interazioni si avranno sempre più elementi per portare ad un restringimento (e quindi formalizzazione) di questi margini. E’ importante (lo ripeto!) che nei primi step i confini siano sufficientemente generosi da consentire ampi margini d’azione
3. Ideare. E’ la fase del brainstorming. Forti di una solida empatia con l’utente finale, consapevoli dei confini del problema, si cerca di costruire ipotesi di soluzioni anche forzatamente fantasiose. Questa è la fase del pensiero laterale per eccellenza ed è importante gestirla in modo appropriato. Anche di questo parleremo in un post dedicato, qui basti tenere a mente che la fase ideativa dovrà lavorare su decine e a volte centinaia di idee tutte insieme.
4. Prototipare. Ciò che è stato ipotizzato nella fase precedente, va costruito. I prototipi saranno tanti e sarà necessario costruirli rapidamente ed a costi bassissimi.
5. Testare. Qui si verifica il prototipo e si impara dall’evidenza. E’ la chiusura del cerchio, perché in questo passaggio si ha veramente la misura di aver “azzeccato” il circuito che porta dal bisogno dell’utente alla soluzione finita. Evidentemente nelle prime iterazioni si sarà molto lontani dalla chiusura prefissata e questo è un bene. Ciclando sul processo del Design Thinking si arriverà prima o poi ad un risultato. Molto probabilmente con il notevole valore aggiunto di aver imparato molte cose nuove durante il percorso.